La moschea di Sidi YeyiaSi è trattato quasi di una risposta alla decisione dell’Unesco di inserire Timbuctu tra i patrimoni dell’umanità a rischio. Trascorsi due giorni dalla decisione dell’agenzia Onu, un gruppo di islamisti ha iniziato la distruzione dei tesori dell’antico centro commerciale, spirituale e culturale del Mali, che dal 16esimo secolo contribuì alla diffusione dell’Islam in Africa. Le testimonianze raccontano di uomini armati che, a bordo di pick-up, hanno circondato e distrutto il santuario musulmano del 15esimo secolo intitolato a Sidi Mahmoud. 

La tomba era stata già violata lo scorso maggio, gli autori della distruzione hanno poi attaccato altri due mausolei, minacciando di radere al suolo tutti e sedici i santuari della città che ospita le spoglie di 333 grandi eruditi dell’Islam. “Questa è una notizia tragica per noi tutti – ha dichiarato la presidente del comitato esecutivo dell’Unesco, Alissandra Cummins, in un comunicato -. Chiedo a tutti quelli impegnati nel conflitto a Timbuctu di esercitare il proprio senso di responsabilità”.

I fanatici islamisti hanno anche distrutto l’entrata della moschea Sidi Yeyia di Timbuctu. Secondo alcuni testimoni hanno sradicato la porta sacra e l’hanno distrutta a colpi di piccone. L’entrata della moschea non veniva usata da molti anni ed era ritenuta sacra in quanto la sua apertura, secondo la credenza popolare, avrebbe “portato alla fine del mondo”. Gli autori della distruzione hanno urlato alle abitanti del luogo che assistevano attoniti e in lacrime all’atto vandalico, di voler dimostrare l’infondatezza di questa e altre supestizioni.

Gli islamisti fanno parte del gruppo radicale Ansar Dine (il difensore della religione), ritenuto legato alla rete di al Qaida per il Maghreb islamico (Aquim), e considerano i santuari una forma di idolatria.  Dall’aprile scorso hanno sotto controllo il Nord del Paese conteso con i separatisti tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla) che approfittarono del vuoto di potere causato dal colpo di Stato contro il presidente Amadou Toumani Toure (cui i militari contestavano proprio lo scarso sostegno alle truppe contro la rivolta tuareg) per dichiarare l’indipendenza.

Un testimone ha riferito che una dozzina di membri della banda, muniti di scalpelli e picconi, si sono ritrovati al cimitero di Djingareyber, a sud di Timbuctu, dove si trovano almeno tre mausolei. I seguaci di Ansar Dine si sono diretti verso il mausoleo di Cheikh el-kebir al grido di “Dio è grande” con l’intento di buttarli giù.
l cimitero si trova a sud di Timbuctu, nel sobborgo dell’omonima moschea di Djingareybe, fatta costruire nel 1327 dal sultano del Mali Kankan Moussa, di ritorno da un pellegrinaggio alla Mecca. I miliziani qaedisti che da marzo, dopo il colpo di Stato a Bamako, occupano il nord del Mali, vogliono un’applicazione rigorosa della ‘sharia’ e considerano ‘haram’ (proibito) ogni forma di adorazione politeista, che metta cioè accanto a Dio altri ‘santi’, sia pure uomini pii e devoti; e dunque i santuari sono considerati idolatri.

Gli islamisti di Ansar Dine avevano i territori a nord del fiume Niger combattendo a fianco dei ribelli Tuareg, ma questi ultimi, dopo aver proclamato il 4 aprile scorso l’indipendenza del nord del Mali, sono stati cacciati dagli integralisti islamici da Gao e Timbuctu.

I Tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’ Azawad hanno chiesto il sostegno della comunita’ internazionale per combattere contro al-Qaeda  e le formazioni jihadiste alleate. In un comunicato, pubblicato dal quotidiano algerino ‘el-Khabar’, il gruppo Tuareg ha annunciato di “essere entrato in guerra contro le formazioni jihadiste e terroriste che occupano le citta’ del nord”. Il  Mnla ha inoltre accusato le autorita’ del Mali di “non aver mai combattuto contro questi gruppi e di averli piuttosto finanziati”. Il portavoce del gruppo, Musa Agh al-Sarid, ha specificato che “la nostra non e’ una guerra contro l’Islam o contro gli arabi, andremo avanti verso l’obiettivo dell’indipendenza dell’Azawad che vogliamo sia laico e democratico nell’interesse di tutte le tribu’, che siano songhai, fulani, arabi o tuareg”.