giappone bri2Aokigahara, la foresta dei suicidi in Giappone. In questo mare di alberi ogni anno si reca almeno un centinaio di persone per togliersi la vita. Una “tradizione” di oltre un secolo, ma che negli ultimi decenni ha subito un picco. E l’annuale ritrovamento dei cadaveri è uno spettacolo a dir poco spettrale. Sono decine e decine i suicidi che avvengono annualmente nella foresta anche se un conteggio preciso non può essere fatto. In Giappone è il luogo preferito dagli aspiranti sucidi e, a livello mondiale, è al terzo posto dopo il Golden Gate di San Francisco e il viadotto di Bloor Street a Toronto.

Che le foreste scure e impenetrabili possano far paura, si sa. I più impressionabili cominciano subito a parlare di fantasmi o mostri assassini. Ma pochi posti come questo hanno una fama cruenta tanto leggendaria quanto reale come questa foresta in Giappone: Aokigahara è infatti uno dei luoghi più macabri del mondo. Qui ogni anno vengono a morire almeno un centinaio di persone, le quali si tolgono la vita all’ombra degli alti alberi. Tanto che il luogo è stato ribattezzato la foresta dei suicidi.

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Aokigahara si trova alle falde del Monte Fuji. Si tratta di un luogo molto popolare tra i trekker, soprattutto di quelli che vanno alla volta della scalata del maestoso vulcano. C’è chi decide di passare apposta per questi luoghi, un po’ spinto da curiosità morbosa, un po’ attratto dal fascino spettrale. Aokigahara per molti non è difatti un luogo che mette allegria. Gli alberi sono così alti e fitti che anche in pieno giorno ci sono parti della foresta completamente avvolti dall’oscurità, poiché la luce non riesce a penetrare tra le fronde. Inoltre la stessa morfologia ha un che di inquietante: tronchi contorti e caverne buie aggiungono alla già cupa atmosfera un’aura di fatalità.

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L’abbondanza di alberi non lascia nemmeno traspirare il vento, di cui non si sente un soffio. Le piante sono talmente tante che Aokigahara è conosciuta anche col nomignolo di Jukai, “mare di alberi” in giapponese. E anche gli animali selvaggi sono eccezionalmente silenziosi. Questa quiete generale conferisce alla foresta un tono macabro ma allo stesso tempo affascinante. Ecco perché è stata descritta il “posto perfetto per morire“. Questa frase è stata mutuata da un romanzo del 1960 dello scrittore giapponese Seichō Matsumoto, chiamato “Onde torreggianti”. Al termine, una coppia trova la sua fine proprio nel suicidio congiunto all’interno della foresta.

Una leggende metropolitana vuole che sia stato proprio questo romanzo ad accrescere la popolarità del posto tra gli aspiranti suicidi. In realtà Aokigahara era ben conosciuta già nel XIX secolo, e veniva usata per praticare l’ubasute. Ovvero, vi si abbandonavano vecchi e malati, membri di famiglie povere che risultavano essere solo bocche da sfamare e un peso improduttivo. Li si portava nella foresta per lasciarli morire di fame o vecchiaia. Non c’è voluto molto, per cui, che nascessero altre storie sugli spettri che infestano questi posti: gli Yūrei, gli spiriti adirati dei defunti, che con le loro grida di dolore terrorizzano i poveri passanti, e li incitano a commettere l’insano gesto.

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Un altro motivo che rende questa foresta foriera di tanti racconti macabri è una particolarità non da poco: se si entra qui le bussole impazziscono, i cellulari non hanno segnale e i gps falliscono nel localizzare la posizione. Sembra una scena da film dell’orrore, dove ci si aspetta che di lì a poco qualche spettro malvaggio aggredisca il protagonista. In realtà la spiegazione è da ricercarsi nell’alta quantità di ferro che permea il posto, e che impedisce agli strumenti di fare il proprio lavoro. Certo è che se si affida il proprio orientamento solo a questi, difficilmente si può uscire da Aokigahara.

Ma oggigiorno il motivo per cui molti di quelli che entrano nella foresta non ne fanno ritorno non è certo perché si sono persi. I giapponesi arrivano qui specificatamente per suicidarsi. Una tetra tradizione che ha cominciato a intensificarsi negli anni ’70 e che oggi ha raggiunto cifre assurde. Non ci sono statistiche certe, ma si calcola una media di un centinaio di suicidi all’anno, con picchi raggiunti agli inizi degli anni 2000.

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Non è un caso. Si tratta infatti del periodo in cui il Giappone è stato colpito da una violenta crisi, dalla quale non si è ancora totalmente ripreso. Ancora oggi le industrie chiudono, si perdono migliaia di posti di lavoro, e molte persone si trovano dall’oggi al domani in mezzo a una strada. In una società competitiva come quella giapponese, che spersonalizza l’individuo e lo identifica solo come un anello di un’enorme catena, essere di nessun beneficio è considerato un disonore. Mentre un onore è togliersi la vita per espiare alle proprie colpe. Non ci sono infatti vincoli religiosi forti come quelli del cristianesimo, che condanna il suicidio come il più grande dei peccati.

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Sono allora le autorità che cercano di intervenire, piantando cartelli lungo tutta la foresta che scoraggino l’insano gesto. In giapponese e inglese si leggono frasi come “La vita è un dono prezioso che ti è stato dato dai tuoi genitori”, “Pensai ai tuoi parenti e ai tuoi figli” o “Prima di morire parlane con qualcuno”. Non sembra però che questi avvisi sortiscano alcuno effetto: ogni anno la polizia compie un’opera di perlustrazione per ripulire la foresta dai cadaveri e il numero di quelli recuperati è altissimo.

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Ma quello che mette i brividi è il modo in cui vengono ritrovati. La scelta più popolare per il suicidio è impiccarsi ai rami di un albero. E già l’effetto scenico è tremendo. A questo si aggiunge che i cadaveri più vecchi sono in putrefazione o carcasse ridotte a brandelli dagli animali selvatici. Assieme ai guardaboschi la polizia si deve incaricare dell’ingrato compito di caricare tutti i corpi e portarli in una speciale camera mortuaria al di fuori della foresta. Lì è uso tra i poliziotti giocarsi a morra cinese lo sfortunato ruolo di sorvegliante delle salme per una notte.

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Una curiosità molto poco gradevole è il fatto che molte delle persone che vanno ad Aokigahara per suicidarsi si recano con un manuale che spiega il modo perfetto per togliersi la vita. “La guida completa al suicidio” è un best seller del 1993 di Wataru Tsurumui che viene trovato spesso affianco al cadavere. A volte ai guardaboschi basta notare il libro per capire subito le intenzioni di qualcuno che si avventura nella foresta. In realtà il loro occhio è così allenato da distinguere subito gli escursionisti e i visitatori di passaggio dai futuri suicidi. E purtroppo non si può fare niente per questi ultimi: Aokigahara è già pronta ad accoglierli.