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L’Africa da vicino

Dopo due anni sono tornato a Laare (Kenya), un villaggio in montagna, a circa 2000 m. slm, dove operano Le Piccole Suore Missionarie della Carità. La loro attività si svolge sul territorio e presso le scuole: hanno in carico circa 800 ragazzi cui offrono, tra l’altro, libri, divise, cibo. Il sostegno finanziario lo ricevono dai donatori, mediante una Onlus polacca cui fa capo suor Alicja, ormai mia cara amica (Sito internet: Progetto “Wirigiro”, email: adopcja.laare@gmail.com). Giorno per giorno queste suorine s’inoltrano, a piedi o in macchina quando è possibile, in un vasto territorio, più o meno coltivato, alla ricerca di famiglie con grossi problemi di sussistenza, di salute o di altro.

Nel precedente viaggio avevo raccontato di bambini sieropositivi che venivano recuperati dopo aver abbandonato la terapia antiretrovirale; di una donna etilista che faceva figli probabilmente con più uomini e che loro cercavano di convincere almeno a far eseguire il test HIV ai neonati; di una bimba di tre anni che stentava a camminare e che loro hanno fatto visitare in un centro di salute (Cottolengo); di alcuni ragazzi di strada che riuscivano ad attirare al loro centro, con la promessa di fornire abiti puliti, un letto e un pasto in cambio di piccoli lavori.

L’incontro più impressionante era stato su in montagna, dopo una faticosa scarpinata a piedi. In una fatiscente baracca di pochi metri quadrati viveva una vecchietta con sette nipoti di età dai tre ai quindici anni; un’altra ragazza più grande, di 18 anni, aveva avuto un figlio, che però le era stato portato via dal padre. Di fianco a questa baracca vi era una casetta più grande e visibilmente più decente, dove viveva il padre di tutti quei ragazzi, mutilato nelle mani dalla popolazione inferocita dopo l’omicidio della moglie e del figlio più piccolo. La cosa più sconcertante era che quest’uomo brutale non voleva saperne nulla dei figli e ostacolava pure la nonnina. Le suore, pertanto, avevano preso a cuore la misera situazione di quella famigliola e avevano sostenuto la vecchietta nella costruzione di un‘altra baracca.


Siamo andati ora a trovare una famiglia composta da un uomo con sette figli avuti da due mogli entrambe morte. Anche per loro ci sarà un aiuto per favorire almeno la scolarizzazione dei ragazzi. L’immagine di un uomo disabile seduto per terra con in braccio una bimba addormentata, assalita da un nugolo di mosche, mi rimane ancora impressa negli occhi.
Siamo andati, infine, a trovare la ragazza che da due anni ho in adozione per sostegno scolastico, Gladys. Era con altri tre fratellini. Anche la suora è rimasta sbigottita al sentire che da due mesi la madre se n’era andata di casa, abbandonando i figli al loro destino. Il padre, ovviamente, non c’era, forse non c’è mai stato, come capita spesso in Africa. Gladys al ritorno da scuola deve accudire ai fratelli e alla casa, tanto qui si mangia una volta al giorno. Abbiamo sbirciato dentro la capanna e siamo rimasti stupiti per l’ordine e la pulizia. 


Tutte le capanne a Laare sono immerse tra estese coltivazioni di “Miraa”, una pianta dagli effetti eccitanti, masticata per ore dagli uomini. Forse, attenua anche l’appetito e allontana la tristezza…
Il notevole e tollerato commercio qui è la fonte principale di reddito. 


Si chiamano Piccole Suore Missionarie della Carità ma per vedere quanto sono grandi bisogna andare insieme con loro per le terre d’Africa. Sono infaticabili, perché sono spinte da un sentimento che altrove è molto di moda sulla lingua ma poco nei fatti. L’amore qui è un motore. Loro sanno dov’è la benzina e quando vanno per strada non restano mai appiedati. La loro opera è visibile solo a chi ha occhi puri, la loro presenza non fa rumore ma spiana cumuli d’ingiustizia e rende più vivibile una vita destinata alla precarietà. Vanno in giro presso le famiglie, ne percepiscono i problemi e aiutano a risolverli. Come non essere solidali e sostenere queste infaticabili suore? Non si tratta di fare elemosina, sarebbe troppo facile per noi che abbiamo quattro soldi. Bisogna non chiudere gli occhi. Sono partito da Laare con un senso di gratitudine per quello che esse fanno e per quello che mi hanno consentito di vedere e testimoniare, in questa terra che tinge di rosso ogni cosa.

 

Laare (Kenya) Febbraio 2014

Con questo articolo iniziamo la pubblicazione di una serie di testimonianze di  Nicola Samà nicsam50@libero.it, medico ospedaliero in pensione, che da alcuni anni pratica attività di volontariato in Kenya.

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